Non è solo Sanremo
Perchè la teologia cristiana può interessarsi di canzonette popolari
e come deve farlo
Sanremo è nato come un rito collettivo che canta l’amore. Allora, tutto Sanremo interessa la fede cristiana e la sua teologia, proprio per questo. L’Amore è l’unica luce e l’unico oggetto della teologia. Certo, è la Rivelazione del Dio Amore. E tuttavia – è importante ribadirlo- questo Amore di Dio si è donato agli uomini per Rivelazione, dentro una storia di uomini che è la sua vera Rivelazione, la sua sicura Autocomunicazione. Le vicende umane, tutte, anche quelle drammatiche rivelano il volto salvifico di Dio. Abbiamo il riferimento – tutti lo conoscono – al Cantico dei Cantici per capire più da vicino: è rivelazione dell’amore di Dio raccontato attraverso le “parole umane dell’amore”, una canzone (cantico) della sposa al suo sposo.
L’interpretazione pop-theologica di Sanremo, dunque, non può accontentarsi di stralciare e spulciare nelle canzoni i riferimenti a Dio o alla Chiesa (più o meno negativi) o a Gesù Cristo. Sarebbe banale per una pop-Theology e, comunque, solo descrittivo. La teologia è scienza, è esercizio critico intensivo della ragione. Deve perciò fare molto, molto di più: penetrare (intus legere, leggere dentro) con intelligenza nella grammatica dell’umano con la quale le canzoni (e non solo, tutto lo show) pronunciano i loro discorsi, stabiliscono le loro tesi, organizzano i loro valori umani o comunicano anche dis-valori (ovviamente perché percepiti e interpretati come nuovi valori). Entra allora, dopo aver osservato attentamente (l’osservazione attenta è una fatica della ragione scientifica) e con intelligenza (stabilendo cioè connessioni significative), giudica responsabilmente, a partire dalla Verità cristiana, o come dice il Concilio “sub luce Evangelii”, allo scopo di verificare i tratti belli dell’umanità di Cristo nelle tante manifestazioni belle (talvolta anche drammatiche) dell’umanità degli uomini. Così, la frase “non cercare un senso, perché tutto ha senso” (Cristicchi) può incuriosire il teologo: “Cercare il senso dell’esistenza è decisivo, ma il senso del tutto non è frutto della nostra ricerca scientifica, filosofica o teologica. Il senso ci è donato in una rivelazione dell’amore che ci raggiunge e ci trascende”, commenta Giuseppe Lorizio dell’Università Lateranense. Chi conosce la singolarità dell’insegnamento di Gesù e del suo comandamento dell’amore (amore anche verso i nemici), come fa a non interessarsi teologicamente di quest’altra: “non giudicare chi sbaglia, perdona chi ti ha ferito, abbraccialo adesso” o “attraversa il tuo dolore, arrivaci fino in fondo, anche se sarà pesante come sollevare il mondo”.
Certo suona bene ai nostri orecchi – è il caso di dirlo, visto che si tratta di una canzone- quello che dice Ultimo: “se solamente Dio inventasse delle nuove parole, potrei scrivere per te nuove canzoni d’amore e cantartele qui”. Le parole per dire l’amore non le inventiamo noi, ma le riceviamo da Dio. E però, anche senza nominare Dio, la canzone di Nek interessa anche di più la teologia e la fede, perché invoca di prepararsi e tenersi pronto per l’altezza dell’amore. Quale è l’altezza di questo amore che fino ad ora nessuna parola umana ha saputo descrivere? Né “frasi di chissà quale canzone” i “libri di milioni di parole”. Forse il Vangelo? Di sicuro. E però nelle tradizioni delle fedi, anche la parola del Vangelo è stata spesso ingessata, snaturata, impedita nella comunicazione dell’Amore e va di continuo rivissuta (come i santi dimostrano) per diventare “carne della mia carne”.
Mentre si è in cammino, è curioso poter ascoltare dal palco di Sanremo qualcuno che ci parli dell’amore eterno (come fece Caccamo lo scorso anno), un amore “senza lasciarsi mai”, cantato nei tempi liquidi della società e della cultura gassosi. Allo stesso modo, è importante ascoltare l’autocritica della canzone d’amore, in Solo una canzone (Ex-otago): “Tutti cantano l’amore, quando nasce, quando prende bene, quando tremano le gambe e quando non c’è niente che lo può fermare”. E dopo? Quando l’amore giovane passa, si perde anche l’amore. Bisogna riflettere sulla distinzione tra innamoramento e amore, perché il primo non è il secondo e il secondo è possibile anche quando si diventa adulti, anzi proprio là cresce come cura e dono per l’altro. L’amore che non disdegna di donarsi anche quando l’altro della relazione è disabile, è diverso, non è come gli altri: “amare una persona fragile è meno facile” (Irama). E che dire dell’amore (inconsolato) dell’altro, quando l’altro non c’è più, perché è morto, come la mamma Jolanda di Renga in Aspetto che torni o il nonno di Nigiotti in Nonno Hollywood che come angelo custodi vegli sui suoi passi, o, ancora, il papà di Paola Turci che la ispira a superare tutti gli ostacoli anche l’ultimo?
L’amore cantato ha anche una valenza politica e diventa l’unica strada e l’unico motore per quel fenomeno umano delle migrazioni nel Mediterraneo, come ha sottolineato, non senza creare sterili discussioni e strumentalizzazioni, Motta in Dov’è l’Italia. L’Italia si perde, quando dovesse perdere l’umanità dell’amore che sa accogliere nel rispetto della legalità.
Dentro però una impostazione economicistica delle politiche migratorie – dove il problema resta quello dei soldi da spendere o di chi li deve ricevere o di chi poi se li ruba-, l’Europa intera non è più un soggetto responsabile e la sua unità permane ancora (nonostante il sogno dei suoi primi fondatori personalisti) “commerciale”. Così nessuna quadratura del cerchio sarà possibile, perché solo l’amore fa miracoli, non la scienza o la tecnica o l’economia o chicchessia e l’amore è vita e “la vita è l’unico miracolo a cui non puoi non credere” (Cristicchi).
Trovo allora singolare che a vincere il festival di Sanremo sia stato proprio la canzone Soldi di Mahmood che ha annunciato il suo album di inediti dal titolo “Gioventù bruciata”. A bocce ferme, ritengo sia stato anche giusto, perché è la canzone che dice la verità attuale sul rischio dell’amore comunitario, rispecchiato nel fallimento dell’amore relazionale (partner, mamma e papà, fratelli e sorelle, amici, marito e moglie): “ti sembrava amore, era altro”, perché non c’è amore quando si sta con l’altro solo per “soldi, soldi, soldi”. D’altronde, Gesù venne venduto per trentatré denari. L’Amore venuto tra gli umani, che ha vissuto solo amando tutti e ciascuno, venne tradito e venduto per soldi. Ecco, perché se è vero quello che dice Mahmood, l’umanità di oggi deve aprirsi all’umanità di Gesù per riscattare l’amore vero e Gesù può essere predicato (attraverso soprattutto la testimonianza) come la Parola all’altezza dell’Amore, per la quale dovremo vigilare per essere pronti ad accoglierla e a viverla: uditori e testimoni di questa Parola del Dio-agape.
di Mons. Antonio Staglianò