Rifacendosi al recente magistero di San Giovanni Paolo II, per il quale la pena di morte «è inadeguata sul piano morale e non è più necessaria sul piano penale», “Fratelli tutti” afferma perentoriamente: «non è possibile pensare a fare passi indietro rispetto a questa posizione». Indietro no, ma avanti sì. Infatti dichiara che «la pena di morte è inammissibile», impegnando tutta la Chiesa cattolica «a proporre che sia abolita in tutto il mondo» (n. 263). Eppure, la pena di morte era presente anche nel Catechismo della Chiesa cattolica come possibile, quale “estrema ratio di difesa”.
È questo un mutamento della dottrina? Cosa si nasconde (e si esprime) con questa decisione fatta con determinazione, quasi fosse un insegnamento infallibile.
Dopo il recente “rescritto” della Congregazione della Dottrina della Fede, relativo alla posizione della Chiesa verso la pena di morte, nel Catechismo della Chiesa Cattolica, alla domanda se Papa Francesco avesse cambiato la dottrina sulla pena di morte, ho risposto nel modo seguente: «la dottrina è una traduzione nel tempo della Verità. La Verità – che è la persona di Gesù – è “ieri oggi e sempre”. Nella misura in cui la dottrina traduce e comunica la Verità vive della stabilità e del “per sempre” della Verità. Quale dottrina lo è? Quando la dottrina è aggiornata, nella Chiesa cattolica non può avvenire nel cambiamento. Non cambia la dottrina, ma la stessa Traditio della Verità vivente è manifesta in nuove formulazioni dottrinali. Cambiano invece i contesti culturali e persino i linguaggi, i significati dei termini. Nella fattispecie della questione “pena di morte”, con questo aggiornamento dottrinale si crea “sviluppo dogmatico”, nel senso che ancor meglio si capisce il nuovo volto del “Dio sempre e solo amore” che in Gesù pretende dai suoi figli di assomigliargli soprattutto in questo, nel non praticare la violenza contro altri. Nessun uomo può togliere la vita ad un altro uomo, perché Dio è amore, così afferma Il Vangelo che è la verità. Ora però, una cosa è Il catechismo che accoglie e media il Vangelo, altro è invece la Dottrina sociale della Chiesa.
Ciò che c’è scritto nel CCC può restare intatto nella Dottrina sociale della Chiesa, che si impegna ad una declinazione razionale sui problemi della società sub luce Evangelii. Nel CCC invece deve essere più chiaro l’annuncio del Kerigma, per cui ha fatto bene Papa Francesco a esigere nel CCC quella riformulazione che meglio esprime la verità del Vangelo. Detto questo, la precedente formulazione dice lo stesso contenuto, quando afferma “la possibilità teorica” della pena di morte e la sua necessaria impraticabilità per riferimento alle condizioni degli Stati e delle nazioni di oggi. Ciò che in teoria potrebbe essere legittimo pensare, non è detto che sia la verità da praticare. La verità incarnata – in quanto tale – è “id quo maius cogitari nequit” (=ciò di cui non si può pensare il più grande), e ci mette nelle condizioni di dare profeticamente un annuncio di Verità (=la pena di morte non è ammissibile mai). Questa è “più grande” dell’idea razionale (=la difesa sociale in estrema ratio) che potrebbe invece giustificare un suo ricorso. Non c’è contraddizione in questo, ma solo la registrazione che tra fede e ragione (anche la ragione illuminata dalla fede) c’è una assoluta e profonda continuità, ma anche una necessaria eccedenza e discontinuità. È lo scarto della Verità della fede che esige dai cristiani di amare i propri nemici e di fare del bene a chi ci fa del male; è lo “scandalo della fede per la ragione” che è invece più sapiente di ogni sapienza che la ragione può esprimere. Infatti in nome di che cosa si può fare questa affermazione sull’inammissibilità della pena di morte se non in nome del Crocifisso che dice la verità del Dio solo e sempre amore?».
di +Antonio, Vescovo