L’Attesa disattesa Pop-Theology dell’Avvento cristiano

Avvento è tempo di attesa. Di chi? Di Gesù che viene, meglio che av-viene. Gesù è avvenimento, accadimento: entra nello spazio-tempo degli uomini, nella storia, cioè nella vita di ogni giorno e di ognuno di noi. Risposta esatta. Eppure Gesù è già venuto, duemila anni orsono, nel grembo di Maria, una fanciulla di Nazareth, sua Madre e, solo per questo, Madre anche nostra. Lei ha dato a Gesù la “sua carne”, che è poi la stessa carne di uomini e donne, di oggi, di ieri e di domani. Dunque, per non essere generici nella risposta, dovremo dire che “viene ancora Colui che è già venuto”: insomma, a Natale nasce – sempre nella grotta di Betlemme- Colui che è già nato “nella pienezza del tempo” e del quale si racconta nei Vangeli: è cresciuto in “sapienza e grazia”, ha predicato per le strade della Palestina il Regno di Dio (regno di giustizia e di pace), testimoniando un volto nuovo  di Dio (quello che secondo Lui è il definitivo, cioè dopo di Lui nessuno potrà mostrarne un altro, perché semplicemente non ce n’è). Eccolo quel volto “nuovo”, Dio è Agape, solo e sempre amore. È un Dio che non atterra, ma suscita sempre, con buona pace di Manzoni e di chi la pensa come il grande romanziere cattolico dei Promessi sposi, il quale, per altro, ha ben descritto che, per atterrare gli uomini – in tutte le disgrazie e le infelicità del mondo-, non c’è proprio bisogno di far intervenire Dio. Ci pensano i malvagi. Per questo la “gloria” di Napoleone ha niente a che vedere con la volontà di Dio e la sua Provvidenza. Dio, infatti, non castiga, ma perdona sempre. E d’altronde, se chiede all’uomo di perdonare addirittura i suoi nemici, settanta volte sette, cioè sempre, perché non dovrebbe farlo proprio Lui, misericordia assoluta: Dio è così giusto da concentrare tutta la giustizia nel suo perdono esclusivo e onnipotente. 

Avvento è tempo di attesa dello stesso uomo, Gesù di Nazareth – quello che è già venuto, nascendo a Betlemme e che viene ogni anno a Natale- di cui si annuncia la risurrezione dalla morte con il suo vero corpo, dopo essere stato flagellato e condannato al supplizio della croce, con il motivo (strano e sconcertante) di “essersi fatto Dio”, cioè di aver preteso di dire Lui com’è fatto Dio, smascherando il “vecchio Dio”, quasi fosse un’invenzione (se non del tutto, almeno in parte e in aspetti sostanziali) di un popolo -benché eletto e guidato da Dio in un cammino di liberazione verso il grande dono della terra promessa- che lo ha tirato troppo “dal suo versante”, fino a farne un partigiano, eccessivamente guerrafondaio per essere davvero Dio, almeno per essere Dio come è conosciuto dal Figlio di Dio nella carne umana, Gesù, il Cristo, l’unto, il mandato per annunciare la Buona novella della pace e della misericordia per tutti, cioè la bella notizia che Dio è per tutti e che questo Dio vuole che tutti gli uomini (e non solo il popolo di Israele) si salvino. Una bestemmia alle orecchie del Sommo sacerdote: è infatti blasfemia, ritenere che Dio sia “conciato” così. 

Fino alla venuta di Gesù nessuno l’aveva mai detto. Un Dio che rispetti la propria dignità di essere Dio potrà pensare solo a se stesso, Motore immobile e atto puro di pensiero, come sosteneva il buon Aristotele, incurante di tutti e di tutto: non fa per orgoglio, ma lo deve, diversamente non resterebbe fermo e l’immobilità è necessaria alla sua Astrofisica metafisica, mentre tutto (le sfere celesti e il resto) “eppur si muove” verso di Lui, attratto come dalla propria causalità finale. 

Prima di Gesù, un Dio che sia davvero Dio non può non mostrare la sua onnipotenza nel distruggere i propri nemici (che poi sono i nemici del popolo eletto, perché pure è scritto che gli Hittiti e tutti gli altri sono anche suoi figli e suoi popoli) con braccio potente e mano distesa, praticando la “santa violenza” col richiedere l’annientamento di uomini, donne e bambini, “da passare a fil di spada”: e non pare fosse una metafora, tant’è che al re Saul, il quale forse riteneva fosse “un modo di dire”, lo spiega bene il profeta, togliendogli il regno a favore di Davide, per non avee obbedito all’ordine di sterminio.

Avvento è tempo di attesa. Si! Ma qual è l’Attesa dell’avvento? L’Attesa dell’avvento è “qualificata da Colui che è già venuto”, da quello che Lui ha detto e fatto, da quello che a Lui è accaduto (sofferenza, passione e morte e risurrezione), dal volto nuovo del Dio da Lui mostrato, Agape eterna, solo e sempre amore, sconfinato e concreto, perché misurato non solo dal suo esempio (“come io ho amato voi”), ma anche dalla sua realtà divina (“vi mando lo Spirito che vi porterà alla verità tutta intera). L’Attesa dell’avvento cristiano è anzitutto una “ontologia”, cioè riguarda l’essere dell’anima, della persona tutta nella sua totalità, il suo essere “casa e tempio di Dio” perché l’Amore, che è Dio, è stato effuso nei cuori e, intrinsecamente, anche “etica”, cioè azione corrispondente, ethos, costume, cultura viva, dunque cultura che trasforma il vivere e non tanto quella salottiera che chiacchiera comodamente sui divani.

L’Attesa dell’avvento cristiano è pertanto il cristianesimo vissuto, secondo il comandamento dell’amore di Gesù, ovvero la “rivelazione dei figli di Dio”. È un’attesa, pertanto, che interpreta l’attesa di tutti gli uomini di buona volontà, i quali, insieme alla creazione, “gemono e attendono la manifestazione dei figli di Dio”, magari facendolo con “critiche spietate al cattolicesimo convenzionale”, non raccolte perché formulate da cantanti, piuttosto che da filosofi: De Andrè, in La buona Novella, è un classico. Eppure i filosofi non li legge più nessuno, mentre le canzoni entrano nell’anima a influenzare (non ci sono oggi gli Influencer per milioni di giovani?) modi di pensare e di sentire o di percepire la realtà e la vita quotidiana. Così Eros Ramazzotti in Buon Natale, se vuoi, canta così: «Dimmi perché/ È Natale ma pace non c’è/ Buon natale, ma il senso qual è?». Pop-Theology non è citare la canzonetta del cantante, ma piuttosto, rispondere criticamente a interrogativi che interpellano il vissuto popolare della fede cristiana, spiegando, ad esempio, che il cristiano “non attende, ma è l’attesa di Colui che è già venuto”, perché l’Incarnazione ha curvato lo tempo-spazio dell’umano, prima ancora che Einstein scoprisse la teoria della relatività generale, Così, ora, passato e futuro si sono uniti in un punto, il Natale del piccolo nella grotta di Betlemme, venuto duemila anni orsono, presente prima della fondazione del mondo, e sempre veniente ogni anno dal futuro atteso. 

Niente di meno. Diversamente si disattende l’Attesa, perché nulla si fa affinché si realizzi la venuta imminente, aspettando solo Godot (S. Beckett).

di + Antonio Staglianò, vescovo

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