Quanto è bello il presepe?

Se ti immedesimi, ti salva la vita nel dono della pace

di + Antonio Staglianò

Il presepe appartiene alla nostra tradizione di credenti in Gesù, Figlio di Dio nella carne umana: vero Dio e vero uomo, davvero nato da Maria di Nazareth e cresciuto insieme a Giuseppe, suo padre putativo. La storia la conosciamo. Certo è dai Vangeli che sappiamo questi fatti e i Vangeli di Luce e di Matteo ne parlano, ma non intendono darne una cronaca. L’Evangelista è un testimone del “significato” di questi fatti narrati della nascita di Gesù bambino a Betlemme in una grotta. Il significato è per altro – per il cristiano- molto chiaro: Dio ha mandato suo Figlio unigenito sulla terra perché tutti gli uomini, ascoltando e seguendo Lui, possano essere salvati, cioè felici nella storia, riempita d’amore e di fraternità, di amicizia e di comunione, di pace, soprattutto.

La pace è una bella parola che fatica a diventare esperienza di vita tra gli umani. Da che mondo è mondo, gli uomini e le donne di ogni epoca hanno guerreggiato, per tanti motivi. La tentazione del potere e del dominio dell’uomo sull’uomo ha creato condizioni di violenza continua. Il desiderio di possesso, di ricchezza, di allargamento dei confini territoriali ha portato popoli e nazioni a colonizzare altri territori, devastando culture popolari e sfruttando le risorse con voracità e prepotenza. Ai tempi in cui nacque Gesù, il potere romano dell’Impero aveva già da anni conquistato una grossa fetta del mondo conosciuto, con le armi e con a sopraffazione, stabilendo la pax romana, tenuta in piedi con la forza del potere e con la paura di essere uccisi se si dissente. In “questo” mondo, Gesù, però, venne a portare la sua pace.

La pace di Gesù è interiore, ma non per questo non ha una conseguenza nella pace sociale e nella pace politica: interiore vuol dire che riguarda il cuore dell’uomo nel profondo. È la pace dell’anima convertita alla giustizia e all’amore secondo Gesù. È una giustizia superiore (rispetto a quella degli scribi e dei farisei, ma anche rispetto a tutte le altre “giustizie” di questo mondo. È una giustizia che a volte può sembrare “ingiusta”, perché chiede di perdonare il fratello peccatore, colui che ci fa del male. Esige perciò di non rispondere al male con il male, ma piuttosto con il bene. Ho sentito lo scorso anno papa Francesco che ne parlava così, nel corso di una Messa a Santa Marta: “La pace di Gesù va con questa vita di persecuzione, di tribolazione. Una pace che è molto sotto, molto profonda a tutte queste cose. Una pace che nessuno può togliere, una pace che è un dono, come il mare che nel profondo è tranquillo e nella superficie ci sono le ondate. Vivere in pace con Gesù è avere questa esperienza dentro, che rimane durante tutte le prove, tutte le difficoltà, tutte le tribolazioni”. E continuava spiegando: “La pace di Gesù ci insegna ad andare avanti nella vita. Ci insegna a sopportare: una parola che noi non capiamo bene cosa vuol dire, una parola molto cristiana, è portare sulle spalle. Sopportare: portare sulle spalle la vita, le difficoltà, il lavoro, tutto, senza perdere la pace. Anzi portare sulle spalle e avere il coraggio di andare avanti. Questo soltanto si capisce quando c’è lo Spirito Santo dentro che ci dà la pace di Gesù”.

Ecco allora la parola-chiave di questa pace che Gesù bambino viene a portarci: “sopportare”, cioè portare sulle spalle i dolori e le afflizioni del mondo, dei più poveri. Ieri dicevo nell’omelia della Messa celebrata per San Nicola di Bari, considerando la grande attenzione ai poveri di questo grande santo cui la nostra Chiesa cattedrale è dedicata: perché non ci impegniamo di più verso si poveri, nel giorno del Signore? Sempre meno gente viene a messa la domenica (e non è solo un problema del virus Covid-19). Allora la nostra fantasia della carità, potrebbe spingersi fino al punto di lavorare di domenica con i poveri, vestendoli a festa e portandoli con noi – che ancora partecipiamo all’Eucarestia- in Chiesa, donando loro il posto che Gesù ha da sempre preteso per loro, il primo posto. Dovremmo fare, un po’ come fanno tanti nostri amici con i diversamente abili, in determinate occasioni. Così anche noi faremmo ogni domenica con tutti i poveri che conosciamo. È una via che porta la pace di Gesù nel cuore e aiuta tutti i fratelli a vivere nella pace.

Certo occorre immedesimazione nel dolore e nella sofferenza degli altri, di tutti, perché tutti sono nostri fratelli. E d’altronde qual è il vero significato del presepe? Qual è la sua bellezza? È quella di mostrarci come Dio stesso, nel bambino Gesù, nato a Betlemme per noi, si è immedesimato nella nostra esistenza e ora chiede a noi credenti in Lui di fare la stessa cosa.

Immedesimazione, empatia con gli scartati, con gli emarginati, con gli immiseriti: il presepe è bello solo se è vivente e, dunque, vissuto. Sa Francesco di Assisi volle la rappresentazione del presepe per questo motivo.

Abbiamo però testimonianze recentissime, quale quella di madre Canopi, monaca contemplativa, di straordinaria bellezza. Fin da bambina il suo amore per Cristo era senza misura e fin dagli inizi era vivo il desiderio di far nascere Cristo in lei: «Non ho mai dimenticato le impressioni avute nella festa del Natale le prime volte che mi portarono alla Messa, e nel vedere il presepe. Quella musica e quei canti, quel Bambino nudo sulla paglia, Maria e Giuseppe amorevolmente chinati su di Lui come in adorazione, e i pastori che andavano a visitarlo portandogli in dono il meglio di quello che avevano. Per me erano vivi, non statuine, erano talmente veri da confondersi con la folla della gente del paese che si assiepava attorno all’altare e al presepe. Era gente semplice che credeva davvero al mistero del Natale del Figlio di Dio e si commuoveva fino alle lacrime cantando le nenie natalizie in cui si diceva che Gesù è venuto a nascere povero, “al freddo e al gelo” […] Il momento culminante era quello in cui il parroco, terminata la celebrazione, faceva baciare Gesù Bambino: io gli baciavo sempre i piedini nudi venuti dal cielo a camminare sulla nuda terra. Mi rimaneva a lungo sulle labbra la dolcezza di quel bacio; era una dolcezza che mi riempiva il cuore e che si riversava su tutti i neonati del mondo a cui Gesù si era assimilato».

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