Il 180° anniversario di erezione della nostra diocesi va letto non solo in chiave celebrativa (si tratta sicuramente di un avvenimento importante), ma anche riflessiva: siamo chiamati infatti a ripensare la fedeltà al mandato di Cristo. È proprio con questa finalità che il nostro vescovo Salvatore, nella lettera pastorale inviata alla diocesi, ha affermato espressamente: “Il tema scelto dalla Commissione Diocesana In Gesù Cristo Buon Pastore, pellegrini di speranza nel mondo, vuole suscitare la gioia di un incontro sorprendente con Cristo Signore che schiude inedite possibilità di rinnovamento personale e pastorale”.
Si tratta di ritornare ai primordi del nostro credo e della nostra identità. Nelle ultime pagine dei vangeli leggiamo che il Risorto, prima di salire al Padre ha inviato i suoi discepoli in tutto il mondo per annunciare la vicinanza di Dio, il perdono dei peccati e il battesimo. Da quel momento la chiesa primitiva ha considerato la missione come un’urgenza che avrebbe caratterizzato la sua stessa identità. Nel corso della storia cristiana si sono registrati diversi paradigmi di missione, anche se si deve ammettere che non tutte le modalità di attuazione siano state conformi al progetto e alla volontà del Salvatore. Il suo mandato originario non prevedeva sicuramente l’imposizione della fede, ma una proposta di adesione libera al vangelo. Lì dove esso è stato propagato e accolto favorevolmente si sono registrati progressi culturali sorprendenti.
Nella sua lunga esperienza missionaria, qual è stata la costante che ha caratterizzato per lo più l’agire della chiesa? A parte le contraddizioni che hanno anche segnato la sua storia, l’annuncio del Vangelo è andato di pari passo con la promozione umana. Questa costante attenzione dimostra che la missione non è un di più che si pone a lato del carattere comunionale della Chiesa, la quale definisce la sua essenza ad intra, ma una dimensione propria, senza la quale essa si atrofizzerebbe fino a diventare insignificante. All’orizzonte del compito missionario c’è dunque il Regno di Dio; senza di esso tutto si trasformerebbe in mero proselitismo o in un’azione umanitaria destinata prima o poi a sfumare: “Il Regno di Dio non è un concetto, una dottrina, un programma soggetto a libera elaborazione, ma è anzitutto una persona che ha il volto e il nome di Gesù di Nazaret, immagine del Dio invisibile” (Giovanni Paolo II, Redemptoris missio, 18) È con questi intenti che la nostra chiesa si dispone a vivere la ricorrenza del 180°, perché senza la conversione al vangelo ogni iniziativa rischia di ridursi a puro pragmatismo. Come ci ha ricordato papa Francesco nella esortazione apostolica Gaudete ed exultate (n. 49), il pelagianesimo (o attivismo) è una delle tentazioni da cui la chiesa deve guardarsi, perché, insieme allo gnosticismo (o intellettualismo), la porterebbe lontano dalla sua originaria finalità.
di don Ignazio Petriglieri