Mentre trepidiamo per gli sviluppi che potranno seguire all’accordo sulla tregua fra Israele e Hamas, vogliamo ripartire dalle manifestazioni di entusiasmo bipartisan che hanno fatto seguito alla liberazione di Cecilia Sala. Una conferma di come sia possibile, almeno sulle questioni vitali, sperimentare quella unità d’intenti che in passato, in situazioni altrettanto difficili, si è rivelata una carta vincente per il Paese. Sia durante la gestione della vicenda, ma ancor più nel momento della sua felice conclusione, si è potuto notare in tutto “l’arco costituzionale” un atteggiamento altamente responsabile. Vedere la segretaria del Partito democratico, la prima forza di opposizione, rivolgere in Parlamento «Un ringraziamento al governo, al corpo diplomatico, ai servizi e a chi ha lavorato incessantemente in questi 20 giorni di apprensione e angoscia per questo risultato» è stato uno di quei gesti che, se ripetuti, potrebbero avere il potere di riconciliare i cittadini alla politica. Peccato che questo clima idilliaco abbia avuto la durata di una meteora: già dal giorno successivo si è tornati al solito registro. Cosa impedisce, ci si chiede da più parti, che almeno sulle questioni di fondo si possa trovare, nel rispetto dei singoli ruoli, quel comune sentire tanto utile al Paese? Perché rassegnarsi, ci si chiede ancora, a vedere un Paese lacerato da polemiche e contrapposizioni che rischiano di vanificare anche quei timidi risultati ottenuti nel recente periodo? Nessuno mette in dubbio i risultati registrati dall’Italia rispetto agli altri Paesi dell’eurozona: crescita economica, aumento dell’occupazione, stabilità di governo e tanti altri ancora. Ma proprio questi dati positivi dovrebbero suggerire di approfittare del momento favorevole per guardare ai tanti problemi che, invece, alimentano disuguaglianze e che costituiscono la zavorra dell’Italia. Avere a cuore le sorti del Paese significa prendere atto che taluni problemi strutturali, a prescindere da chi ne porta le responsabilità, richiedono la più ampia partecipazione per la loro soluzione. Si tratta, in gran parte, di quei problemi evidenziati dal Presidente della Repubblica nel discorso di fine anno e che costituiscono, secondo gli esperti, la cosiddetta “Agenda Mattarella”.
“I dati dell’occupazione – riconosce il Presidente- sono incoraggianti, così quelli dell’export e del turismo”. Anche se a fronte di tali dati, prosegue Mattarella “stride il fenomeno dei giovani che vanno all’estero in assenza di alternative, la diseguale disponibilità di servizi tra Nord e Sud, le liste d’attesa per esami medici che si allungano, l’aumento delle persone che rinunciano alle cure perché prive dei mezzi necessari”. E, ancora, il lavoro povero o cassaintegrato, le aree di precarietà, i salari bassi, i troppi incidenti mortali sul lavoro “che si possono e si devono prevenire”. Tralasciando le altre criticità descritte nell’ “Agenda”, la domanda è se sia possibile risolvere insieme questi problemi, senza rinunciare ai rispettivi ruoli e nel rispetto delle differenti idee. Quello che conta in questo tentativo, afferma Mattarella, è il riconoscimento che per cancellare queste criticità bisogna “riorientare la convivenza” e il nostro stesso “modo di stare insieme”, considerando che “siamo tutti chiamati ad agire, rifuggendo da egoismo, rassegnazione, indifferenza”. In una parola, “Tocca a noi saper tradurre la speranza in realtà”. Si tratta, in fondo, di una opportunità, offerta a tutti gli attori politici, non solo per affrontare mali cronici – le inefficienze della macchina burocratica e la distanza fra Nord e Sud, su tutte – ma anche per avviare processi virtuosi in grado di sconfiggere le vaste aree di povertà, precarietà e altre forme di ingiustizia che precludono a tanti giovani di accedere al cosiddetto “ascensore sociale”. L’Italia, come gli altri Paesi europei, si appresta ad affrontare un anno pieno di incognite, prima fra tutte quelle che possono venire dalla Presidenza Trump che il 20 gennaio inizia il suo secondo mandato. Al suo insediamento sono legate le tante speranze per una soluzione pacifica dei conflitti in corso. In quest’ottica, il nostro Paese è chiamato a contribuire con autorevolezza, in un’Europa forte e unita, alla costruzione di nuovi scenari fondati sulla pace e sul progresso sociale.
di Pino Malandrino